MAMME CHE LOTTANO E SORRIDONO: LA STORIA DI FRANCESCA

MAMME CHE LOTTANO E SORRIDONO: LA STORIA DI FRANCESCA

Oggi intervistiamo Francesca Fedeliche conosciamo sin dagli esordi, nel 2014, della sua tenace lotta contro l’ictus giovanile, per suo figlio Mario, quando Francesca decide di rimboccarsi le maniche e non arrendersi davanti al dolore e alle prime risposte dei medici.

Qui le abbiamo chiesto di raccontarci gli sviluppi della sua esperienza di mamma e donna “lottatrice”. Fightthestroke è l’impresa sociale fondata da Francesca e da suo marito Roberto D’Angelo, per dare alle famiglie che si trovano ad affrontare gli esiti dell’ictus perinatale, e più in generale la paralisi cerebrale infantile, il supporto che Francesca stessa avrebbe voluto.

Fighthestroke nasce per fornire informazioni corrette e tempestive sull’ictus giovanile, poco conosciuto, nonostante la sua incidenza – 50.000 bambini solo in Italia – e per dare uno spazio di condivisione e orientamento alle famiglie. Fightthestroke si propone inoltre come un attore del cambiamento, alla ricerca di nuove soluzioni riabilitative per dare ai bambini colpiti da ictus una vita dignitosa.

Fightthestroke è cresciuta negli anni ottenendo riconoscimenti internazionali e l’appoggio di un team di scienziati e imprenditori, perché Francesca non si è fermata davanti alle prime risposte dei medici ma con determinazione, assieme al marito Roberto, sta portando avanti un’attività instancabile di sviluppo imprenditoriale del progetto Mirrorable, una soluzione terapeutica all’avanguardia e a misura di bambino. Qui le abbiamo chiesto di raccontarci di più.

 

Ciao Francesca, benvenuta!
Siamo felici che tu abbia scelto Worth Wearing e vorremmo con questa intervista far conoscere ai nostri follower il seguito della tua storia, le sfide che hai dovuto affrontare come madre e donna, alla guida di Fightthestroke.
Cominciamo da una domanda generale. Quale fattore pensi sia stato decisivo nel percorso che ti ha portato a lottare in prima persona e a fondare Fightthestroke?

Rispetto all’esperienza di molti altri genitori, noi abbiamo avuto per Mario una diagnosi precoce e abbiamo iniziato sin da subito il percorso riabilitativo tradizionale: la fisioterapia, la terapia occupazionale, la psicomotricità, nei centri territoriali a noi più vicini.

Ci siamo accorti subito però di come questa terapia fosse rischiosa, non per l’effetto in sé, ma al contrario per la mancanza di effetti rilevanti in una fase in cui Mario avrebbe potuto rispondere meglio ad altre stimolazioni. Ci sembrava di perdere tempo, di non sfruttare la fase di maggiore plasticità cerebrale dei bambini (proprietà del cervello di modificarsi). Mentre cercavamo alternative scientificamente validate, ci siamo imbattuti in un protocollo che promuoveva la riabilitazione attraverso i neuroni specchio.
Da allora abbiamo capito quanto sia cruciale il ruolo della famiglia e dell’ambiente per raggiungere i migliori risultati anche dal punto di vista riabilitativo: abbiamo capito che non bastava il gesto meccanico e ripetitivo delle due mani usate per chiudere e aprire una scatola e che la terapia non doveva essere solo a carico del bambino ma di tutta la famiglia. Per dirla coi neuroni specchio, noi come genitori abbiamo un ruolo importante: facciamo “da specchio” e abbiamo la responsabilità di trasmettere fiducia e dare il nostro meglio al bambino perché la cura sia efficace in un ambiente carico di valori positivi.

Abbiamo letto che Mirrorable è una piattaforma riabilitativa che si basa sui “neuroni specchio”. Che cosa sono i neuroni specchio?

I neuroni specchio sono un tipo di neuroni che si attivano sia quando un individuo compie un’azione che quando l’individuo osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto. Fino a non molti anni fa, si riteneva che il sistema motorio producesse solo movimenti mentre i ricercatori dell’Università Parma, guidati dal Prof. Rizzolatti, più volte candidato al Nobel per questa scoperta, hanno scoperto che molti neuroni del sistema motorio rispondono anche solo a stimoli visivi.
Per esempio, se vedo una persona che afferra una bottiglia, colgo subito il suo gesto perché è già neurologicamente programmata in me la maniera in cui afferrarla. Si verifica una comprensione istantanea dell’altro, senza bisogno di mettere in gioco processi cognitivi superiori ed è questo il meccanismo che noi stiamo sfruttando nel processo di riabilitazione dei giovani sopravvissuti all’ictus: quando l’arto è paralizzato e impossibilitato a muoversi, l’osservazione motoria, l’immagine motoria e l’esecuzione motoria consentono un recupero funzionale del paziente con ictus, grazie ai processi di riorganizzazione neurale delle aree del cervello danneggiate.

In che modo Mirrorable concilia la terapia, che in genere si svolge in ospedale, con il ruolo centrale della famiglia? Come siete arrivati a unire casa e ambienti ospedalieri?

Mirrorable è una soluzione riabilitativa che si svolge in ambienti familiari al bambino, assieme alle persone care e nel suo ambiente domestico. La fisioterapia tradizionale rimane indispensabile, almeno fino a quando non si troveranno nuove tecniche per una mobilizzazione passiva e attiva del piccolo paziente anche in ambiente domestico. Il vantaggio di Mirrorable risiede nell’essere una terapia complementare che fa leva oltre che su provati risultati scientifici, sugli aspetti motivazionale e relazionale. Motivazionale, perché il bambino esegue la terapia attraverso il gioco, per esempio imparando un mestiere come quello del mago; relazionale, perché una parte della terapia disegnata con Mirrorable prevede la relazione tra due bambini con bisogni simili. La terapia mette in campo tutte le risorse per un percorso di recupero ideale nei bambini: la possibilità di somministrare un trattamento intensivo; l’incremento progressivo della complessità dei movimenti; l’aspetto motivazionale legato ad una nuova abilità da acquisire (‘diventare un giovane mago’); il rinforzo positivo da parte del programma (le stelline che si accendono sullo schermo solo se muovi la mano plegica), della famiglia e del compagno di video. Il progetto ha anche un impatto sociale positivo, perché Mirrorable va a ridurre le difficoltà e i costi di tipo organizzativo-logistico della famiglia e consente una maggior grado di diffusione, a prescindere dalle barriere geografiche o linguistiche.

Sappiamo che oggi Mirrorable sta chiudendo la sua fase pilota. Ci spieghi la tecnologia su cui si basa Mirrorable e quante famiglie hanno partecipato alla fase pilota?

Mirrorable è disponibile ‘in cloud’ ovvero attraverso risorse hardware e software che usano la rete Internet. Anche questo è un punto di forza del progetto: la tecnologia ci consente la diffusione geografica ad ampio spettro, abbassando i costi di distribuzione, i dispendi di tempo per le trasferte, l’affollamento delle strutture di riabilitazione attive sul territorio; ma ci permette anche di fornire un servizio di supporto alle famiglie in tempo reale e di identificare in remoto eventuali adattamenti o nuovi obiettivi di cura da parte dell’operatore sanitario. La fase pilota si è svolta insieme al CNR di Neuroscienze dell’Università di Parma e ad oggi sono stati reclutati per Mirrorable oltre 45 bambini in età tra i 5 e i 13 anni, con diagnosi di emisindrome, un successo numerico e di soddisfazione personale per chi conosce la difficoltà nel reclutare piccoli pazienti per i progetti di ricerca scientifica. I bambini sono i veri protagonisti di questo programma di riabilitazione, i bambini ci stanno insegnando che si può trasformare uno stigma sociale in una passione, in qualcosa di cui andare fieri e non vergognarsi.
In questa fase pilota abbiamo misurato gli indicatori motori, di adesione al progetto e di empatia, attraverso scale tradizionali e innovative (come ad esempio i parametri cinematici misurati attraverso la videocamera 3D Kinect) e ora siamo in grado di comprendere il potenziale grado di diffusione dello strumento e le sue possibili estensioni.

Qual è stata la risposta delle famiglie che sono entrate a far parte del progetto Mirrorable?

Credo che il racconto di questa madre che ha aderito al progetto dica più di mille testimonianze. La motivazione delle famiglie è un elemento fondamentale per la buona riuscita del percorso riabilitativo: Mirrorable è stato pensato da una famiglia per altre famiglie, affinché non sia un’ulteriore fonte di stress ma rappresenti un percorso di crescita utile per tutta la comunità. Inoltre la filosofia con cui è stato pensato Mirrorable va nella direzione di massima inclusività: il bambino che non può suonare il violino, insegna i giochi di magia e ognuno può usare al meglio il suo potenziale.

Per noi sei un esempio di mamma “speciale”, per il coraggio e la spinta positiva con cui hai affrontato una situazione che all’inizio si presentava molto difficile e ti aveva messo a dura prova. C’è qualcosa che vorresti aggiungere, che cosa è cambiato da allora?

Ho raccontato nel libro Lotta e sorridi l’inizio della mia esperienza, la difficoltà di accettare quello che era accaduto a Mario e i momenti più emozionanti, in cui è stato proprio Mario con il suo sguardo e le sue reazioni spontanee a ispirare la nostra missione e lo spirito di Fightthestroke. Ci troviamo ogni giorno ad affrontare la sfida, il nostro lavoro continua con la crescita di Mario. Come genitori abbiamo cercato di trovare un equilibrio tra l’istinto di “proteggerlo” e la volontà di fargli sperimentare realtà inclusive. Mario frequenta la scuola pubblica con le sue diverse etnie, partecipa a un corso di teatro con bambini con diverse abilità, propone e collauda per primo tutte le idee generate attraverso Mirrorable.
Il nostro motto rimane Lotta e sorridi. La lotta per noi ha senso se consideriamo quello che non abbiamo non come una mancanza, ma come un’opportunità. Lo abbiamo raccontato nel nostro TED Talk ed è alla base del nostro lavoro quotidiano di genitori e ricercatori. Crediamo molto nell’efficacia di trovare soluzioni dal basso, senza paura di dialogare con il mondo scientifico.

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