22 Feb #SAVEAHMAD, la campagna per la libertà
La storia di Ahmad è la storia di un uomo. Sposato e padre di due bambini, è stato privato della libertà.
Oltre 220mila firme ha raccolto la petizione #SaveAhmad, lanciata su Change.org, per liberare Ahmadreza Djalali ricercatore iraniano specializzato in medicina delle grandi emergenze, detenuto da Aprile 2016 in un carcere di Teheran e condannato alla pena capitale.
In queste ore la solidarietà sul web si è moltiplicata, a partire dagli interventi istituzionali in difesa del ricercatore che da oltre 5 anni lavorava in Italia presso il CRIMEDIM di Novara, il centro di ricerca in medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale.
Dopo esser tornato nel suo paese natale per partecipare a un convegno su invito dell’università di Teheran, è stato arrestato. Da 10 mesi è in isolamento nella prigione di Evin, con l’accusa di aver collaborato con paesi nemici della repubblica islamica. Le autorità iraniane gli hanno negato il diritto di essere difeso da un avvocato. Così a dicembre 2016, Ahmadreza ha iniziato uno sciopero della fame che ha aggravato notevolmente le sue condizioni di salute.
Ha avuto a malapena il tempo di informare Vida, sua moglie – che attualmente vive a Stoccolma – di essere stato obbligato a firmare una confessione dal contenuto ignoto che lo ha esposto all’accusa di essere una spia, condannandolo per questo alla pena capitale.
«Ribadiamo con forza che non ha mai commesso reati – così ha esordito il Rettore dell’Università del Piemonte Orientale Cesare Emanuel, all’inaugurazione dell’anno accademico – Crediamo sia intollerabile la condanna a morte. E sarebbe ancora una volta un grave e palese attentato alla libertà della ricerca, alla disseminazione della conoscenza senza barriere, principi imprescindibili dell’università, del progresso umano».
Queste parole stanno facendo il giro del web, mobilitando l’intero mondo, non soltanto quello della ricerca. L’intera comunità scientifica respinge le accuse rivolte contro Ahmadreza, ritenendo che l’unica “colpa” che gli si può attribuire sia quella di aver collaborato con ricercatori israeliani e sauditi nel corso della sua attività di ricerca.
Video messaggi di ricercatori che come lui hanno collaborato con colleghi di diverse nazionalità, la petizione e l’appello di Amnesty International e diverse iniziative di raccolta fondi.
Tra queste ultime, la campagna #SAVEAHMAD lanciata sulla nostra piattaforma da Luca Ragazzoni, collega di Ahmad presso il CRIMEDIM.
Indossa la T-shirt per difendere la sua libertà e quella di tutti i ricercatori che con dedizione e impegno si dedicano al loro lavoro. Vogliamo che Ahmadreza possa tornare dalla sua famiglia, fra i suoi amici e nella comunità scientifica.
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